Da qualche anno è frequente leggere notizie che raccontano di imprenditori che non riescono a trovare forza lavoro per la propria attività. Per citare un episodio recente che aiuti a chiarire, un noto imprenditore del settore turistico ha ammesso di essere molto in difficoltà perché non riesce a trovare lavoratori stagionali. Colpa del reddito di cittadinanza? Il problema sono gli stipendi troppo bassi? I soliti giovani che non hanno voglia di fare nulla? Domande banali che richiedono una risposta complessa.
La sociologia ci aiuta a comprendere meglio il fenomeno quando ci descrive le caratteristiche lavorative delle diverse generazioni, in particolare della X, Y e Z ovvero quelle che per età sono attualmente protagoniste nelle attività produttive. In sintesi, la generazione X (dai 43 anni in su) è cresciuta all’ombra dei baby boomers che hanno tramandato la propria visione del lavoro come “valore”. La generazione Y, nota come Millenials (tra 27 e 42 anni), è fatta di persone che hanno molte aspettative circa il lavoro e coltivano il desiderio di plasmare esso per adattarlo alla vita. Infine la generazione Z (entro i 26 anni) è fatta di persone che ricercano un impiego legato alle loro passioni e sono disposti a provare una serie di tirocini in qualcosa a cui tengono veramente.
Personalità o meglio identità diverse che interagiscono in uno stesso ambiente lavorativo: un vero e proprio conflitto generazionale che investe il datore di lavoro, simile a quello dei figli con i genitori. Non è facile adattare la cultura organizzativa a queste novità e la convivenza tra diversità può generare tensioni. Ma sono inevitabilmente queste le sfide da affrontare per l’imprenditore che vuole portare la propria attività nel futuro.
“Conoscere” è il primo segreto per gestire efficacemente la questione. Bisogna avere chiare le caratteristiche delle diverse generazioni per poter trasformare i punti critici in risorse. In estrema sintesi, pertanto, possiamo tratteggiare 3 scenari.
La generazione X è quella a cui conviene dare autonomia (sanno cavarsela da soli) e tempi certi (così che possano usare il loro tempo libero per altro). Sanno adattarsi alle situazioni (anche se si lamentano), usano la tecnologia come strumento, apprezzano i feedback diretti.
La generazione Y, quella dei Millenials (tra 27 e 42 anni), ha invece bisogno di aver costante dimostrazione di trovarsi “nel posto giusto”. È utile creare per loro opportunità che li impegnino in diversi progetti e con team differenti, ovvero soddisfare la loro esigenza di novità per evitare che le cerchino altrove. Utile focalizzarsi su obiettivi a breve termine. Va infine accettata l’idea di carriere a tappe e con interruzioni.
La generazione Z (entro i 26 anni) ha bisogno di un contenuto di lavoro interessante. E’ ovviamente a proprio agio e gradisce l’utilizzo delle tecnologie più recenti. Apprezza una gestione aziendale accurata e la formazione costante.
La questione delle differenze tra generazioni, sebbene possa sembrare una generalizzazione banale, è invece rilevante. Certamente ci sono variabili significative in alcune fasce d’età (quelle agli estremi possono avere caratteristiche intergenerazionali) e tra persone (ogni persona ha una propria storia personale), ma ognuno è comunque figlio del proprio momento storico. Per esempio, in epoca Covid-19 è frequente che qualcuno rinunci ad un’offerta di lavoro perché essa va in contrasto con il proprio benessere personale. Ma se torniamo indietro nel tempo, nel 1922, dopo una guerra mondiale ed una pandemia, la parola benessere non era presa in considerazione: il lavoro era un dovere e serviva per portare il pane a casa.
Altro segreto utile a gestire efficacemente il conflitto generazionale nel lavoro è “accogliere”. Ascoltare il prossimo, aprirsi alla diversità invece di chiudersi. Non possiamo cambiare la personalità di qualcuno ma possiamo imparare a conviverci, in modo da percepire ciò che accade intorno a noi in modo funzionale e far sì che le nostre emozioni conseguenti diventino l’energia che fa crescere l’impresa.
Psicologo